Interview with Francesco Galano, the mastermind behind When the Clouds:
Francesco Galano. Ovvero, quando le nuvole del post-rock italiano attendono una nuova stagione di rifrazioni dream-troniche. Ecco le sue confessioni “open-minded”…
Come nasce il progetto When The Clouds e qual è l’origine del moniker?
Sin dall’adolescenza, quando ho iniziato a suonare nelle prime band, mi sono sempre riservato una dimensione più intima in cui comporre musica esclusivamente “mia”; non so bene il motivo di ciò ma era una naturale risposta ad una mia esigenza espressiva.
When The Clouds in tal senso rappresenta una tappa più concreta di questo viaggio iniziato molto tempo fa…
Riguardo il moniker, When The Clouds è un progetto strumentale e dunque alle poche parole che trovano luogo in esso do una grande importanza. Credo che la musica e le parole abbiano una modalità comunicativa totalmente differente se non opposta. La parola a volte è un limite e tende alla staticità a differenza della musica che nel suo essere “astratta” è passibile di infinite reazioni emotive che bypassano la razionalità.
When The Clouds non dice nulla di definitivo. E’ un’immagine incompiuta, una frase sospesa ed ognuno può leggervi una continuazione e darvi poi un senso.
Quali sono le influenze musicali che più pesano sul progetto When The Clouds?
Credo che ascoltando la mia musica sia immediato cogliere l’influenza nordeuropea. A leggere le recensioni, l’associazione con la “scena islandese” sembra immediata. Se band come gli ormai popolarissimi Sigur Ros abbiano contribuito non poco a plasmare la mia estetica musicale devo dire che questa negli anni si è nutrita ed arricchita di generi molto differenti tra loro. Alcuni dei quali forse sembra difficile rintracciare nei miei brani.
Ad esempio ti cito un certo tipo di metal estremo, guarda caso nordeuropeo, che mi ha accompagnato per tutta l’adolescenza. Ricordo che ciò che mi rapiva non era la violenza o la brutalità del sound ma l’estrema passionalità e drammaticità che trasudava da quella musica. Sono sicuro che per chi è “ignorante” del genere sia difficile immaginare di provare brividi nell’ascoltare chitarre superdistorte, voci urlanti e batterie iperveloci, ma garantisco che allora mi davano quello che può dare l’ascolto di “Al chiaro di luna” di Beethoven…
Questo per dire che in realtà, sin da allora, mi rendo conto di aver sempre cercato nella musica questa passionalità, un certo tipo di atmosfere che fanno vibrare le mie corde più sensibili. E devo dire che tutto ciò l’ho trovato poi nei glitch e nei synth dell’elettronica, come in un arpeggio di chitarra acustica e nel calore della voce di un cantautore folk, nell’esplosione di un brano post-rock come nelle melodie e nelle scale di un pianista jazz.
Dopo tutto questo, la composizione poi è il momento in cui ti trovi a riempire il silenzio con quella musica che ti si è creata dentro e che senti il bisogno di restituire al mondo.
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